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Giuseppe Cavalli Per un'estetica della fotografia

“Noi crediamo alla fotografia come arte. Questo mezzo di espressione moderno e sensibilissimo ha raggiunto, con l’ausilio della tecnica che oggi chimica meccanica ed ottica mettono a nostra disposizione, la duttilità la ricchezza l’efficacia di un linguaggio indipendente e vivo….

Anche con l’obiettivo, infatti, si può trasformare la realtà in fantasia: che è la indispensabile e prima condizione dell’arte…

Allontanare la fotografia, che abbia pretese di arte, dal binario morto della cronaca documentaria…”

Nel Manifesto del Gruppo fotografico La Bussola , steso da Cavalli e pubblicato su “Ferrania” il 5 maggio 1947, è la sintesi essenziale dell’impegno intellettuale che, fin dalla metà degli anni Trenta, ha mosso tutta l’opera dell’artista.

La sua idea di fotografia, concepita come proposta artistica per il dopoguerra, modernamente schierata contro le più trite e accademiche tendenze pittorialiste, ma anche in polemica con la fotografia futurista degli anni Trenta, è annunciata, per la prima volta, nel volume curato insieme a Mario Finazzi nel 1942, Otto fotografi italiani d’oggi e sarà portata avanti successivamente con la creazione del Gruppo Misa.

Nato a Lucera nel 1904, Cavalli si trasferisce a Senigallia nel 1939 e qui dedicherà la sua vita quasi esclusivamente alla fotografia, fino alla morte nel 1961. La sua ricerca estetica, che si porrà in antitesi con ogni forma di realismo e documentarismo, trae origine dalle istanze programmatiche dei pittori della “scuola tonale romana”, di cui era esponente il fratello gemello Emanuele, attraverso il quale Giuseppe frequenterà assiduamente il mondo dell’arte.

E i toni alti (high key) che caratterizzano le sue immagini divennero veicolo ed espressione della purezza e della luminosità del suo sguardo. Questo è il vero e unico soggetto delle sue fotografie.

E anche soltanto un fugace riflesso, un’ombra evanescente, un banale e insignificante ‘convegno’ di oggetti minimali (le sue magiche nature morte), si trasfigura nel rigore assoluto e nella limpida e metafisica semplicità delle sue composizioni, raggiungendo la dimensione poetica di un universale sentimento lirico, misteriosamente sbocciato nel cuore dell’artista per virtù d’intuizione.

Le fotografie esposte provengono tutte dall’archivio di Ferruccio Ferroni, documento e testimonianza del profondo legame tra i due, oltre che del magistero di Cavalli all’interno di quello straordinario laboratorio di idee e di forme che fu l’esperienza dei fotografi di Senigallia.

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