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Su progetto dell’architetto Pietro Ghinelli, l'imponente palazzo ad isola sostenuto nei suoi quattro lati da porticati in pietra bianca d’Istria uguali a quelli costruiti lungo il canale.
La storia del Palazzo detto della Filanda prende avvio nel 1758 quando il Consiglio Generale dei Nobili, delibera di donare alla famiglia Antonelli i cui componenti tanto si erano prodigati per ottenere dal papa Benedetto XIV l'autorizzazione ad ampliare la città, l’area su cui costruire un proprio palazzo.
Tuttavia, a distanza di circa mezzo secolo, non essendo stato posto un solo mattone, nell’anno 1805 la Magistratura comunale chiede al card. Leonardo ed al conte Bernardino, la restituzione del terreno che viene donato a Vincenzo Micciarelli di Jesi, il quale aveva preso impegno di costruirvi, su progetto dell’architetto Pietro Ghinelli, il magnifico, imponente palazzo ad isola sostenuto nei suoi quattro lati da porticati in pietra bianca d’Istria uguali a quelli costruiti lungo il canale. I lavori ebbero inizio subito dopo la fiera dell’anno 1805 ma per un imprevisto grave dissesto finanziario subito dal Micciarelli, i lavori si protrassero per quasi un trentennio fino a che, nell’impossibilità di portare a compimento l’opera, il Micciarelli, fu costretto a venderlo al conte Lovatti di Roma, che in poco tempo completò l’edificio.
È curioso ricordare che il Comune nell’agosto del 1818 per favorire la fine dei lavori indice una grande lotteria per raccogliere i fondi necessari che però “viene differita per mancanza di azioni” senza che poi se ne fece più nulla.
A testimonianza della maestosità dell’edificio sia sufficiente ricordare come nel 1829 per evitare che in quell’anno la città, ed in particolare la sua celebre fiera franca, rimanesse priva dei consueti spettacoli lirici qualora non fosse stato pronto il nuovo teatro che la Comunità andava costruendo al posto di quello vecchio condominiale utilizzato sino all’anno precedente, l'Amministrazione civica fece subito costruire nel cortile del palazzo Micciarelli un teatro in legno che aveva tre ordini di palchi con 21 palchi per ogni ordine, loggione, platea, atrio, camerini e tutto quanto poteva essere necessario per dare spettacoli di opera e di ballo, che entrò regolarmente in attività e funzionò fino all’anno seguente quando venne aperto il nuovo teatro.
Poi il palazzo passa di mano. Lo rileva un tale Corrado Hoza e lo trasforma in filanda della seta. L’attività si protrae dal 1867 al 1930, l’anno del terremoto.
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