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Dopo essere sopravvissuti all’inquisizione Veneziana grazie a Don Chisciotte e ritornati alle antiche glorie per merito di Romeo e Giulietta, la Compagnia dello Stivale, ora composta da Giulio Pasquati, Girolamo Salimbeni e Veronica Franco giunge a Parigi! Ma la fama e il successo non durano e, in poco tempo, la compagnia si scioglie. L’unico a rimanere fedele alla professione è Giulio Pasquati, scritturato al Teatro Palais Royal e diretto nientemeno che da Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière.
Dopo essere sopravvissuti all’inquisizione Veneziana grazie a Don Chisciotte e ritornati alle antiche glorie per merito di Romeo e Giulietta, la Compagnia dello Stivale, ora composta da Giulio Pasquati, Girolamo Salimbeni e Veronica Franco giunge a Parigi! Ma la fama e il successo non durano e, in poco tempo, la compagnia si scioglie. L’unico a rimanere fedele alla professione è Giulio Pasquati, scritturato al Teatro Palais Royal e diretto nientemeno che da Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière.
17 febbraio 1673. La quarta recita de Il malato immaginario è a rischio, tra i lavoratori del Palais Royal si parla di annullare lo spettacolo, il Maestro non è dell’umore per andare in scena e gli attori della compagnia se ne tornano a casa. Tocca a Pasquati il disperato tentativo di portare a termine la serata ricorrendo nientemeno che ai vecchi compagni dello Stivale, pregandoli di quest’ Ultimo Viaggio. L’insistenza dei tre commedianti è inarrestabile, Molière è costretto a cedere: lo spettacolo deve continuare!
A complicare la situazione un ritorno inaspettato: Madeleine Poquelin, figlia di Molière, fuggita dal convento dove era rinchiusa. Prende il via la celebre ed esilarante storia del Malato Argante, vecchio ipocondriaco che, tra purghe e salassi, va dissipando la propria fortuna. Tra le astuzie della serva Tonietta si intessono e si cantano gli amori ostacolati della dolce Angelica con il giovane Cleante, il tutto sotto l’occhio di Belinda, seconda moglie di Argante, intenta ad accaparrarsi la fortuna del vecchio marito. È una recita particolare, quella che si rappresenta al Palais Royal quella sera, tra i lazzi, le improvvisazioni e le maschere grottesche dei Commedianti le ombre si allungano sui fondali dipinti, i bagliori delle candele si affievoliscono rischiando di spegnersi al primo soffiare del vento.
Il Malato Immaginario è una farsa perfetta. Molière, da veterano della risata, costruisce nell’ultima sua opera una macchina teatrale inattaccabile, tratteggiando personaggi classici e moderni allo stesso tempo. Egli mette in scena la forza e vitalità dell’amore giovanile contrapposta con la più grande paura dell’umano: il passare del tempo. Un ultimo viaggio, ancora una volta, tra la polvere del palcoscenico, le corde, i tiri e i contrappesi. Un inno alla vita, alla risata e alla bellezza, cantato dai saltimbanchi, condito di una farsa feroce, intrisa di amore per il pubblico. I testi diventano, nuovamente, pre-testi, condizioni di partenza per spiccare il salto nell’universo molieriano, giocandoci, improvvisandolo, cantandolo, mimandolo nel gioco più totale del teatro, che deve essere vivo, estemporaneo e tangibile quanto la Commedia, specchio incrinato dell’umano.
Vivo è il teatro, dunque, quando viva è la Commedia.
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